Sono passati venticinque anni

Era Pasqua 1981, non avevo nemmeno compiuto quindici anni e misi piede sull’isola in una giornata scura e uggiosa, invitata da amici dei miei genitori. Pensai: ma dove sono capitata? E invece non avevo idea che quel posto avrebbe cambiato profondamente la mia adolescenza e anche la mia vita in qualche modo.

Ho passato cinque anni pieni di vacanze a Ventotene, tra Pasque, estati e feste di S.Candida, fino ai vent’anni… troppo poco, ora lo so. Mentre scrivo, mi tornano in mente le voci, i colori, i profumi, i tramonti, i volti, le risate, le cantate, le ubriacature, le follie di notte in mezzo al mare agitato con quei due gozzi, le pescate, le gite di giornate intere in mare, in dieci, quindici persone. E poi le incursioni a S.Stefano, i fanghi, i tuffi dal porto quando partiva il traghetto, la gioia dei Mondiali dell’82 e la follia che ne seguì… e i pianti, perché alla fine si doveva sempre partire e le lacrime al porto non mancavano mai. Scambi di indirizzi, lettere infinite tutto l’inverno con quegli amici napoletani che non vedevi mai l’ora di rivedere.

Soprattutto io ricordo l’amore, perché se si è tanto amato un luogo è sempre a causa di un amore. Ricordo quei ragazzini sfacciati e quelli timidi e un po’ tonti, le chitarre in mano e tutta la notte al porto o in spiaggia a suonare Pino Daniele o Lucio Battisti. E quelle mani che si allungavano timide all’inizio… poi il primo bacio, poi un altro ancora, e un giorno, anzi una notte, arriva il momento, quello che mia mamma non avrebbe dovuto sapere mai e che lesse sul mio diario a casa. A Calanave, lì avvenne che una ragazzina diventò donna, nel posto più unico al mondo, su quella spiaggia adorata, sotto una luna meravigliosa e col rumore del mare calmo in sottofondo.

Lui, quel ragazzino dal muso carino, piccolo e insolente, uno scugnizzo napoletano che diventò importante, che mi portò a Napoli e me la fece conoscere, la sua famiglia, i suoi amici, ma soprattutto lui, con quel suo modo di fare lento, insopportabilmente calmo, con me che ero un vulcano con la terra che mi scappava sotto i piedi, con quella fretta di crescere a cui non sapevo resistere. Io dovevo vedere, sapere, conoscere, imparare in fretta, mi dovevo sempre sbrigare e lui lì, con la sua flemma… e col suo grande amore per me, la sua pazienza, la sua dolcezza spiazzante. Fu così che vissi il mio primo grande amore.

Eravamo giovani e la storia finì, e così lasciai quell’isola adorata, quel posto magico, quegli amici bellissimi di cui ho mille foto, e soprattutto quella casa antica, tutta rosa e tutta rotta, che dominava la spiaggia e guardava S.Stefano. Giurai che non sarei mai tornata e chiusi la mia isola in un cassetto del mio cuore, sapendo che era lì ogni volta l’avessi voluta guardare… dentro di me.

Sono passati venticinque anni da allora, e sento che c’è una cosa da fare: tornare lì, rivedere con i miei occhi quei posti e quegli scorci, e subito correre al Forno a mangiare un dolce! Lo farò perché ora sento di essere pronta all’appuntamento con l’isola, e lei, lo so, ancora mi vorrà.